Donne ed elezioni a Milano

Adriana Nannicini

 


Artemisia Gentileschi

 

Le donne sono state le “grandi elettrici” del sindaco Giuliano Pisapia a Milano. Grandi elettrici perché protagoniste, per mesi, in maniera visibile, su innumerevoli scene della campagna elettorale e nella vittoria della coalizione di centrosinistra dopo diciotto anni di governo di destra. Protagoniste con ruoli differenziati in una campagna elettorale, carica di attese, di speranze, di innovazioni e di molteplici protagonismi inusuali, le donne sono presenti per la prima volta in Italia nelle liste della coalizione, come 50e50 (o quasi, in realtà), elette per il 34% del Consiglio e di nuovo 50e50 nella Giunta.

Le elezioni milanesi sono dunque cosa di donne?
Credo che abbiamo bisogno di  registri diversi: quello dell’analisi e quello della narrazione. Credo che si possano intrecciare i fili leggeri che emergono nella storia di questi mesi.
Sono presenti nella campagna e sono già state protagoniste e artefici di una scena propria: a Milano sono state convocate nei mesi invernali due manifestazioni per la dignità delle donne, una a febbraio per partecipare, con le altre in Italia e nel mondo, al movimento SeNonOraQuando e una, in precedenza, a gennaio. 
Le piazze sono state piene, riempite di presenze intense e nuove, di donne “normali” esterne al femminismo e alle varie anime del movimento. Qual è stato l’intreccio del movimento con la campagna elettorale? Quali i luoghi e i momenti di incontro tra tante donne diverse? E, ancora, quando si parla delle “grandi elettrici”, si usa un’immagine in cui ci possiamo riconoscere?
A Milano la storia del movimento delle donne ha molte sedi, molte voci, spesso in contrasto tra loro, ha un pensiero che si è sempre articolato su priorità, teorie e linguaggi differenti. Un “noi” comprensivo di tutte le anime milanesi non esiste, non c’è “noi” che possa rappresentare questo evento di pensiero e di iniziativa, con le sue diverse storie. E, ovviamente, non può succedere per la campagna elettorale. Eppure, tra le manifestazioni di febbraio e “il vento che cambia” delle elezioni milanesi è stato tracciato un nesso, quasi un rapporto necessario. Riporto il commento di uno sguardo esterno al movimento, una voce partecipe della vicenda milanese ed evidentemente osservatore delle iniziative delle donne:

La data spartiacque … di un successo per nulla annunciato… è il 13 febbraio. Piazza Castello non basta a contenere l’invasione allegra, ferma, civilissima delle donne (accompagnate spesso da mariti, fidanzati e fratelli) di “Se non ora quando” segnalando una condizione di bottom up non prevista dai media e neppure dai sociologi. Una sorta di imprevedibile rivolta borghese di tipo “mediterraneo” che lascia il segno, mette in difficoltà l’elettorato femminile del centro-destra, fa emergere come caso politico nazionale il divorzio tra società e premier in materia di concezione della donna e della parità dei sessi. (Rolando 2011)

E nelle riunioni del Comitato delle donne milanesi che ha organizzato la piazza di febbraio si annoterà poi che “la trasversalità dell’indignazione ha prodotto qualcosa di diverso da quel sentimento, le elezioni nel Laboratorio Milano producono una Giunta rosa”.

Ma di cosa stiamo parlando quando parliamo di donne ed elezioni milanesi?
Di una narrazione da sviluppare, che possa accompagnare la campagna, ritrovare il racconto della presenza delle donne che hanno “fatto” la campagna. Un racconto che accomuni, includa le tante e diverse che con modi e ruoli variegati hanno preso parola e iniziativa.
C’è un dato di novità che colpisce chi osserva: la presenza costante, duratura, attiva, partecipe, attenta, discorsiva, inventiva e “volontaria” di donne. Tante e diverse lo sono davvero, nei ruoli street level, di coordinamento dei vari Comitati e in quelli di staff  - ma non in quello ristretto del candidato -  e di organizzazione centrale della campagna. Accomunate da un “fare” che si declina in mille modi. Sconosciute ai media o note nei circuiti professionali e nei circoli di quartiere, conosciute nella miriade di associazioni di tutti i tipi del terzo settore e nell’associazionismo culturale, donne single, alcune “tornate” alla dimensione politica, hanno messo mente e corpo ad una presenza che si richiama a una genealogia femminista, non si rifà a quell’origine e comunanza.

Altre storie?
Credo dunque che sia interessante tentare in un racconto che cerchi di individuare una riflessione non troppo estemporanea, per raccontare com’è successo che queste elezioni sono diventate, per le tante e diverse, occasione e opportunità di dare corpo e voce a un desiderio di politica e di politica del desiderio.
Milano città grigia, arrogante, percorsa da linee di demarcazione, abitata da solitudini lavorative ed esistenziali, città impoverita anche nel ceto medio (?) e spaventata, città che era anche stata origine e centro dell’ esperienza di movimento usciamodalsilenzio, che nei due anni dopo la manifestazione del gennaio 2006 riuscì a  mantenere un’assemblea aperta a tutte quelle che avevano voluto farne parte.
Milano dove infatti, anche dopo, è stato possibile sentirsi, giorno dopo giorno per mesi o d’un tratto, estranee o “in esilio nel proprio paese”. Estranee perché separate dalla vita pubblica, anche se e quando questa appariva sempre più impoverita e poco attraente, anzi forse proprio questa scarsa attrattiva creava una distanza. I legami, vissuti e costruiti negli anni e non del tutto recisi, apparivano congelati o appassiti, non più percorsi da reciproche domande e attese di conversazioni collettive. Estranee in un paese soffocato, rinchiuso su di sé, provinciale nelle sue fonti di conoscenza, becero nella stampa di opinione.
Estranee che rifiutavano di sentirsi superflue, che hanno colto al volo l’occasione delle primarie per il sindaco della città come fosse la mossa del cavallo?
Le grandi manifestazioni questa volta hanno posto il tema delle donne e del “Governo”, niente di più, niente di meno. Può dunque accadere che un sentimento di estraneità si muti in un desiderio di cittadinanza. Perché sono le donne della città che hanno riaperto una narrativa possibile di un

Esodo dalle passioni tristi - come titola nel suo convegno di fine maggio la Casa delle Donne di Pisa -da quelle passioni che corrispondono ad una diminuita capacità di agire, all’impotenza singolare e collettiva, alla disarticolazione della collettività, di corpi e menti… Facile incontrare sentimenti di resa o una frammentazione dei progetti e delle identità tale da indebolire la forza immaginativa di un agire collettivo, eppure è proprio nelle esperienze che si muovono lungo le linee di fuga dello scoraggiamento che troviamo forme di esodi possibili dalle passioni tristi.

Si adattano alle donne che hanno fatto la campagna elettorale a Milano queste parole?
L’avventurarsi nelle iniziative micro o macroscopiche, là nei giardini, nei gazebo elettorali, sulle vie, agli aperitivi nelle scuole e nei teatri, come sulle videate del web per respingere e dimettere quell’esercizio del potere incarnato da Letizia Moratti, quasi una monarca, che “ha bisogno della tristezza dei sudditi”.
Tra le primarie e l’inizio della campagna elettorale sono convocate 11 “Officine per la Città” sui temi considerati più rilevanti: si iscrivono e prendono parte alle discussioni mille cittadini. A coordinare questo esperimento - uno dei tanti che poi seguiranno - di democrazia elaborativa, prima ancora che decisionale, sono tre donne, tutte collegate alla campagna dei candidati alle primarie. Si formano le liste e le donne si candidano: come indipendenti nelle liste di partiti, come esponenti del proprio partito, come cittadine desiderose di “impegno”. Come scriverà poi Francesca Zajczyk:

è il caso della lista MilanoCivicaXPisapia che mette figure femminili rappresentative del variegato mondo professionale della città. Scegliendo di collocare le donne nella parte alta della lista, le trova nelle stesse posizioni alte della graduatoria anche per quanto riguarda il numero di preferenze ottenute.

Sono liste al 50e50, nominalmente il dato appare inequivocabile, una meta raggiunta, un dato da cui poi si potrà partire. La campagna elettorale fatta anche di competizioni interne, anche in partiti ormai leggeri di apparato e di pacchetti di voti certi da affidare, produrrà poi l’esito di un 34% di elette, dato su cui ancora Zajczyk ritorna all’indomani dei risultati:
l’onda lunga di questi movimenti ha probabilmente aiutato le candidate nella conquista di voti, pur in un quadro di grande competitività con la preferenza unica e pagando sicuramente le donne, rispetto agli uomini, per inesperienza nell’agire pubblico, per minori risorse economiche e minore sostegno da parte dei partiti politici, nonché minore disponibilità di tempo.

 
Una campagna leggera
Raccontando la propria esperienza, dicono di una campagna
dal basso, facendo un pezzetto, aprendo un banchetto, volantinando al mercato, assicurando una presenza ai gazebo;  talvolta pesava fisicamente e non solo: stare sulla strada è stata una cosa nuova e per certi versi non così usuale per chi la politica l’ha vissuta soprattutto nelle riunioni, nei dibattiti, negli incontri.
 
La campagna dal basso, come si metterà in evidenza poi quasi esaltandola, è la cifra di una campagna povera di denaro, ricca invece di inventiva, che conta sulle idee e la partecipazione innovativa dei sostenitori, in primis le donne e i giovani, poco controllata dall’alto (sempre torna la passione per la classificazione in gruppi sociali degli opinionisti italiani). Le presenze di donne in alcuni spazi, di giovani in altri, quando non confusi insieme, è un’immagine che ricorre nell’esperienza reale, a denotare che c’è un nuovo presenza attiva e agita in un laboratorio di cittadinanza.
Così sarà anche per la campagna referendaria, che a Milano si svolge senza soluzione di continuità, i soggetti che agiscono non sono un movimento ma una molteplicità di esperienze, che eccedono l’area tradizionalmente attiva. Soggetti che si muovono con un elevato uso del modello reticolare: sulle pagine di Facebook, sui blog delle donne si svolgono dibattiti e attività ideative e organizzative della realtà fisica, senza fratture. Lo sconfinamento tra i due mondi, che si presumono separati è costate e naturale, dice anche di un nuovo habitus che si sottrae alla comunicazione televisiva e alle sue signorìe.
Interessante prendere nota di un piccolo evento: sulla pagina FB intitolata “Donne per Milano”,  il 22 maggio (prima del primo turno di voto) viene lanciato un appello a tutte le donne della città, presentandosi come “donne di Milano, cittadine normali, milanesi per nascita e per adozione, donne che amano la verità”. Queste donne scrivono per ribadire il sostegno a Giuliano Pisapia, dopo l’attacco in Tv di Letizia Moratti e le polemiche su moschee proliferanti e zingaropoli, scrivono dunque dei “temi del giorno”, per depotenziare le icone della paura. L’appello raccoglie centinaia di firme, anche nazionali.
La campagna delle candidate e delle donne dei Comitati nei quartieri è leggera, fatta di contatti personali, di inviti a parenti, ad amici e colleghi a sostenere, a collaborare e a votare. Sono una miriade le microinvenzioni di “iniziative” elettorali nuove: dagli aperitivi in studio con i colleghi agli incontri nella sala di yoga con le mamme di una materna, ad altre riunioni dove invitare mondi professionali o sociali che nella città sono ormai abituati a stare disgiunti. Incontri che parlano e agiscono riconoscimento, tracciano qualche elemento di inchiesta, portano in sé una qualche visione del cambiamento che si auspica, che si aspetta che accada, finalmente.

Reti di prossimità
Questo modo di fare campagna è qualcosa di più dello stile personale di qualcuna, varrebbe narrazioni ulteriori e dettagliate. E’ già evidente che è una modalità nuova. Ma è davvero nuova? E’ segnata da smottamenti della linea di confine tra spazio privato e spazio pubblico: se - come ricordava Sandra Burchi nell’apertura della giornata sul lavoro a Pisa - prima nella vita lavorativa delle donne “si svuotava lo spazio pubblico e si chiudeva quello privato”, così anche adesso nella campagna si usano a piene mani le reti di prossimità: di vicinato o altre che siano. Reti di prossimità  intessute di capacità relazionali, di vicinanza, di gestione di spazi e di orari a propria misura. Di simboli come il colore arancione della campagna che diventa smalto sulle unghie, nastro tra i capelli, maglietta. Reti di prossimità come spazio relazionale e simbolico frequentato e gestibile, uno spazio dove si può agire il controllo delle risorse, dei tempi, delle conoscenze, delle informazioni, delle ulteriori reti e snodi.
Prossimità che si sovrappone, anzi fisicamente circonda, la dimensione fortemente individualizzata, per alcune, di questa campagna, priva com’è di strutture di partito old style, operanti per le donne in lista, spoglia di saperi tecnico-organizzativi tradizionali. Una dimensione che appare, nelle prime settimane, come un segno di ambivalenza: com’è possibile legare la tensione verso la dimensione pubblica della cittadinanza nel Consiglio Comunale e l’agire in una dimensione “individualizzata”? A quale esperienza e idea di capitale sociale si fa riferimento? Legami di fiducia e lealtà reciproca? Quello di “gruppo” degli ex-compagni di scuola? Quello del senso di comunità? Quale comunità? Gli obiettivi della prima fase temporale sono certamente l’acquisizione di visibilità per le candidature - propria e/o di Giuliano Pisapia,- e la raccolta di voti per se stesse, per il candidato sindaco. Nelle prime settimane appare l’ambivalenza della relazione tra “prossimo” e pubblico, una sorta di sentimento di cauta distanza.
Poi succede che vi riconosciamo un nostro sapere: lo scivolamento continuo della frontiera tra pubblico e privato è definitivamente avvenuta nelle nostre vite lavorative, già l’abbiamo detto. Su questo smottamento, che abbiamo perlopiù subito e non scelto, abbiamo costruito saperi e strategie di sopravvivenza, siamo diventate acrobate e abbiamo innovato, ripetutamente, le relazioni con arti e mestieri. Milano è ricca delle nostre invenzioni lavorative e dei capolavori  quotidiani per tenere ferma quella linea per proteggere lo spazio delle nostre vite. Conosciamo il tempo e lo spazio. Sono  state anche le docenti e le ricercatrici di architettura di Milano ad aver reso visibile quanto sia mobile la linea di demarcazione: nella storia delle città le donne hanno abitato luoghi interstiziali tra casa e strada, tra menage e lavoro, tra cura dei figli e ballo, sperimentando anche margini di  libertà e di azione, come nella grandi città del Sei-Settecento europeo. Gisella Bassanini nota che
 
si afferma con forza il carattere relazionale che contraddistingue i modi di abitare femminili che si traduce in una ostinata volontà di mantenere vivo e in continua dialettica il legame tra casa e città, privato e pubblico.(…) Solo nel  XIX secolo la città non è più cosa che deve riguardare una donna. Lo spazio urbano le viene progressivamente sottratto e il privato le cala addosso come una grossa e pesante maglia che trattiene e isola. Prende forma -la città delle sfere separate-“ ( Bassanini 2008)
 
 “Sarà la nostra casa il mondo, o sarà il mondo la nostra casa?”, si chiedeva nel 1915 Charlotte Gilman. Se inizialmente riferirsi a reti di prossimità per conquistare e accedere al governo della città era segnato da una nota di ambiguità inquietante, via via che la campagna si concretizzava in un presagio di vittoria, è stata accolta la sfida insita nella vicenda,  si è deciso che valeva la pena di avventurarsi per vie imperfette.
Questa vicenda, interpellata poi da vari punti di osservazione e varie voci di donne, ha anche incrociato un’altra questione, quella dell’empowerment e del decentramento. Crescita del potere di azione, che si sviluppa e incide maggiormente al livello della governance e dei processi decisionali locali, decentrati e distanti dai luoghi fondativi come il parlamento? Quando è cittadino, quando tocca l’amore per la città, il desiderio di cittadinanza si colora di una più visibile e accessibile “cittadinanza”? Oltrepassa l’immagine riduttiva dell’amministrazione come dimensione “gestionale e domestica”,  quasi rinunciataria rispetto all’ambizione fondativa di regole e appartenenze?
Prevale forse la necessità di una vicinanza ai luoghi decisionali per partecipare realisticamente, se non all’atto decisionale, almeno al processo che conduce a quell’atto; prevale la certezza della complessità del vivere e del convivere contemporaneo e l’altrettanto forte certezza che le frontiere e i ruoli dello Stato nazionale sono in accelerato e ignoto cambiamento; prevale il senso portato alle manifestazioni che, nel mostrare la dignità delle esistere in quanto donne, esprimeva la volontà di contare dove si decide e di governare? Interrogativi validi anche per le prossime campagne elettorali, quelle politiche. Già ci si dice che sarà necessario intrecciare saperi, esperienze nati da queste comunali e da altre esperienze.

E le tante del movimento?
Nel narrare la presenza delle donne nel “fare” la campagna - un fare che è stato pensiero, capacità organizzativa, desiderio di politica -,  nel narrare la qualità di questa presenza, per certi versi sorprendente e ricca di suggestioni e sollecitazioni, inevitabilmente si cerca un’altra presenza: quella del movimento delle donne di Milano, che ha indetto quelle manifestazioni che, scriveva un testimone “esterno”, sono state motore del cambiamento. Come ha interloquito con gli altri attori, dal candidato sindaco alle donne della città?
Dopo le piazze e il grande successo di azione e di epicentro del cambiamento, il movimento affida a un paio di lettere aperte a Giuliano Pisapia - una a gennaio e una dopo il risultato elettorale - l’interlocuzione su temi legati allo “sguardo di genere sulla città”, sulla composizione 50e50, sull’esigenza ribadita di avere un vicesindaco donna. La presenza ai tavoli delle Officine è stata decisa ma frammentata e non si è coordinata nel finale. Alcune delle protagoniste si sono candidate in varie liste, sia per il Consiglio Comunale che per le Zone. A distanza di pochi giorni l’una dall’altra, si tengono due assemblee rivolte alle donne della città, frequentate soprattutto dalle amiche del movimento. Le stesse organizzano un evento in piazza Scala, dove ha sede Palazzo Marino, il Comune. Si alternano ai microfoni cinquanta candidate, dopo i primi interventi su temi programmati, le voci di tante e diverse raccontano, si propongono al voto.
Tra le tante anime milanesi che non partecipano a queste iniziative, il collettivo CicipCiciap con una lettera invita alcune candidate a rispondere a domande precise. Il lunedì tra il primo e il secondo turno si tiene la prima sessione dell’Agorà del lavoro, promossa dalla Libreria delle donne e da alcune singole interessate. La riunione vede la presenza di circa trecento donne e alcuni uomini, con una molteplicità di interventi; solo a metà riunione un intervento ricorda che l’Agorà non si sta riunendo al di fuori di alcune coordinate storiche e che a Milano è in corso un’elezione cittadina. Mentre la campagna dal basso delle candidate - comprese quelle legate al movimento - si svolge nella strettezza dei tempi dati e a contatto con le innovazioni relazionali e con le domande, anche inespresse, di cui sopra, le iniziative ascrivibili al movimento propongono una rappresentazione della città e delle esigenze delle donne dai contorni ampi, radicate nella storia del pensiero femminista, di cui mantengono il rigore  intellettuale e politico, che sembrano privilegiare un dialogo interno o uno scambio con il candidato sindaco attraverso le lettere aperte.
Singolarmente molte, quasi tutte, prendono parte ai mille eventi, compresi quelli al livello della strada, in questo caso più come attiviste dei partiti o delle liste che come donne del movimento. Così per molte donne, per  quelle che si sono definite “normali “ in varie occasioni il femminismo succede che risulti più “agito” nelle forme della propria libertà e finanche della emancipazione e dei diritti indiscutibili, introiettati e assunti come imprescindibili, che come un discorso a cui prendere parte?

Segue…
Questi gli interrogativi nati dall’urgenza di avviare un’elaborazione condivisa, per mettere in valore, da angolature diverse,  la qualità di questo straordinario laboratorio politico che sono state le elezioni.
Ma gli esiti, quanto alle elette e alle donne della Giunta, meritano e richiedono un’analisi dettagliata e ravvicinata. Del meccanismo delle liste, e dell’influenza che ha avuto nell’abbassare i rapporti tra liste e consiglieri, già Zajczyk ha cominciato a dire. Un altro aspetto merita di essere approfondito: le donne che sono state elette e quelle nominate in Giunta, lo sono state perché “premiate” per la loro competenza professionale e sociale, riconosciute dalle intenzioni di Pisapia, oppure lo sono state anche grazie alle relazioni di collegamento, se non di rappresentanza o di rappresentatività, con il movimento? Queste relazioni con il movimento delle donne sono visibili e rilevanti nella partita elettorale?
Terminata la campagna, il laboratorio milanese sta iniziando la seconda fase. Quella del Governo. E su questo l’appassionato appello di Alessandra Bocchetti dal palco di Roma il 13 febbraio non smette di risuonare. Dopo il cambiamento avvenuto nella campagna elettorale, un cambiamento che tocca anche la presenza e le relazioni tra donne, come continueranno a incrociarsi, a dialogare, a svilupparsi? Parliamone.

Riferimenti bibliografici
Rolando, S. (2011) La prima sfida:  laboratorio di classe dirigente Milano chiama Italia. Mondoperaio, luglio
Zajczyk, F. (2011) Elezioni, Arcipelago ondine, giugno

Bassanini,G. (2008)  Per amore della città, Franco Angeli: Milano
Casa della Donna di Pisa (2011) Esodo dalle passioni tristi, Convegno di maggio

 

17-1-2012